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La metropolitana di Napoli vista da NonSoloModa




E' possibile, con Napoli, guardare a esempi positivi e non sembrare il beato idiota che non vede problemi strutturali?
Qui, per una volta, il trasporto su ferro si fa paradigma di sfida per riqualificazioni territoriali.

Achille Bonito Oliva - Coordinatore artistico Stazioni dell'Arte: "Quest'esperienza comincia negli anni '90 per decongestionare un traffico che a Napoli è al livello di quello di Bombay, ma con i decibel come quelli de Il Cairo".

Per questa metropoli diffusa si lavora a un collegamento ferroviario che coniuga strutture funzionali a seduzione estetica.
Un dialogo che tra il 2001 e il 2003 ha prodotto le note 5 fermate dell'arte alle quali ne sono seguite tante altre, su linee che si vanno a moltiplicare in un susseguirsi di incroci che creano una rete di trasporti di qualità.
Più di 200 le opere in un percorso espositivo aperto, dinamico. Lavori che mostrano una propria precisa specificità: alla fermata "Dante", De Maria, Kosuth, Kounellis offrono lavori che richiamano la Divina Commedia; "Museo" mette in relazione gli scatti di Jodice con le opere esposte al Museo Archeologico sovrastante, altre hanno privilegiato un lavoro estroverso, che guarda al quartiere: come la fermata "Salvator Rosa", dove i lavori di Paladino, Rotella, Mendini, Tatafiore, letteralmente costruiscono il paesaggio circostante, le facciate dei palazzi, i giardini, i percorsi. Le stazioni diventano così punti di ritrovo, nuove piazze, ed evitano di trasformare le opere d'arte in sostituti di monumenti isolati e muti.

Achille Bonito Oliva: "Queste stazioni sono state attrezzate non secondo quel principio grottesco e molto negativo dell'arredo urbano (ovvero si realizza un'opera pubblica e le si concede un additivo ornamentale come commento), qui invece l'opera nasce insieme alla stazione".

Le opere diventano materiale della quotidianità, davanti alle quali sostare, o passare indifferenti. Lo scenario di tutti i giorni trasforma così l'uso dell'arte contemporanea in un rituale lieve e non celebrativo.
"In questo museo obbligatorio", così come è stato definito da Achille Bonito Oliva, sembra non essere importante conservare il significato della singola opera, intercettata lungo il percorso della quotidianità, quanto apprezzarne l'estetica totale, non celebrativa.
Un approccio che si inserisce nella tradizione di una città che con l'arte contemporanea ha sempre avuto un rapporto privilegiato.
Alle piazze, gallerie, teatri, musei si aggiungono ora queste stazioni che diventano non superfici utili ma opere totali.
Basilico, Merz, Kosuth, Sol LeWitt, Accardi, Carmine, Botto & Bruno, Pistoletto animano luoghi in cui i viaggiatori si incrociano, luoghi, così, meno vulnerabili e più aperti.

Achille Bonito Oliva - Coordinatore artistico Stazioni dell'Arte: "Le opere sono acchiappa-sguardi. E' un modo di stabilire un nuovo rapporto con l'arte contemporanea, che non deve essere solo qualcosa di difficile veicolato attraverso libri e mostre enigmatiche, in spazi dove spesso il pubblico non si avvicina per timore reverenziale. Qui l'arte è sottoposta ai rumori della vita. Noi siamo abituati ad un quotidiano in cui si corre da un punto all'altro secondo rotte obbligate e queste opere sono interferenze, delle felici interferenze".

Linea 1, linea 6, circumvesuviana, circumflegrea... tracciati di una metropolitana che mentre si costruisce modifica il proprio stesso approccio estetico: dalle prime, in cui sono ospitati i lavori di più artisti alle ultime in cui il dialogo si fa esclusivo, a due: tra un architetto e un artista.
Sono, tutte, stazioni che volutamente dichiarano una sottolineata diversità. Canali invisibili di comunicazione che emergono in quartieri non collegati né culturalmente né economicamente tra loro. Stazioni in cui un'architettura firmata non si fa solo griffe estetica ma dialogo per luoghi più a misura d'uomo.

L'emersione del segno stazione, in ogni quartiere, diventa occasione, per l'architetto incaricato, di ridisegnare anche tutta la zona circostante: piazze, strade, verde, illuminazione si fanno riqualificazione e non semplice arredo urbano.
Data la natura del sottosuolo napoletano, un progetto ingegneristico di notevole complessità diventa occasione di visibilità artistica e architettonica.

Benedetto Gravagnuolo - Preside Facoltà Arch. Università Federico II: "Ogni architetto deve immaginare un'architettura per quel luogo...quindi non abbiamo la ripetizione in serie, come negli anni '60 si usava fare (pensiamo ad esempio alla metropolitana di Albini di Milano), ma abbiamo una varietà di linguaggi che sono in qualche modo in relazione ai contesti urbani".

Dall'estetica del movimento veloce di Zaha Hadid - per la futura stazione dell'alta velocità delle ferrovie nazionali - alle trasparenze di Gae Aulenti, al segno di Mendini passando per Podrecca, Rogers, Siza, D'Ascia fino all'opera totale di Anish Kapoor a Montesantangelo. Punti di qualità lungo un segno sinuoso tracciato sulla mappa cittadina e diventato marchio d'autore.
"La più bella metropolitana del mondo", così il Times di Londra, senza dimenticare che al primo posto la città di Napoli ha messo la qualificazione del proprio territorio.

A Napoli, dicono, l'arte corre sul binario. Auguri e complimenti.


Qui l'intervista completa a Benedetto Gravagnuolo

Qui invece l'intervista completa aa Achille Bonito Oliva
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